Pura e sana invidia per tutte le persone che oggi esercitano il lavoro che amano, o per il quale hanno studiato.
Anche io in passato, ho potuto godere di questo privilegio ,ahimè durato un semplice tempo DETERMINATO. Vi racconto un po' di me. Adolescenza: Passione sfrenata per il teatro, sognavo di fare l'attrice, provini Roma, Milano, ma dovevo scegliere o La laurea o il teatro. Ho scelto la laurea, sempre ligia al dovere ed al mio senso di colpa, e cosi ho proseguito il mio percorso letterario. Finalmente dopo sette anni riesco a laurearmi in Lettere, provenendo da un ragioneria forse qualcuno potrà capire i miei 6 esoneri per superare l'esame di Latino. Posso ringraziare solo la mia forza di volontà e i miei dieci anni di lavoro come cameriera tra i tavoli che mi ha permesso di pagare le tasse universitarie. Finalmente arriva il mio primo lavoro con un Contratto vero, ed oltretutto inerente alla mia preparazione universitaria, inizio a lavorare in una Libreria indipendente, dove, da semplice commessa, nel tempo, divento responsabile e mi dedico con massima dedizione, perché per me è il lavoro più bello del mondo. Ma le cose in azienda non vanno cosi bene e decido a malincuore di abbandonare, ma non mi abbatto. Dopo un anno, 2345 cv inviati, mille chilometri macinati per un semplice colloquio, Roma, Torino, Milano, Bologna, il mio sogno si avvera: chiamata dalle Librerie Feltrinelli. Ma soprattutto in Puglia!!!! Sono assunta con un contratto part time a tempo determinato che dura la bellezza di quasi tre anni, la bellezza di svegliarsi la mattina e non veder l'ora di andare a lavoro non capita a tutti. allo scadere dell'ultima proroga però, l'indeterminato non è arrivato per la solidarietà che vige in azienda e che ormai viene prorogata da quasi tre anni, e dopo averle provate tutte, purtroppo non sono riuscita ad ottenere il posto che meritavo. Lutto nel mio cuore e nella mia anima. Ma non potevo permettermi di restare senza lavoro, cosi oggi mi ritrovo a fare la Receptionist in una grande centro estetico, attenzione però, ogni lavoro è onore e sempre lo sarà, ma ogni volta che annuso l'odore dei libri, la nostalgia mi assale. Eppure, chissà un giorno. Io ci spero sempre. Alessandra Alo Comes.
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Nel corso dell'ultimo anno tante persone mi hanno detto che 26 anni (ormai 27) non sono nulla e la vita è ancora tutta davanti, ma per me sentivo fosse già tardi ed era necessario dare una svolta alla mia di vita. Un percorso abbastanza standard, o almeno per me lo è stato: liceo scientifico, laurea in Finanza alla Bocconi, sei mesi in Irlanda per imparare la lingua e cercare lavoro, rientro in Sicilia, tirocinio, MBA all'Università di Catania nella sede di Confindustria Ragusa ed infine lavoro (in Sicilia!). Un lavoro di tutto rispetto, considerando la situazione media dei miei coetanei neolaureati e non, ma che aveva tante ore, troppo stress e poche soddisfazioni (personali e monetarie). Nel frattempo la vita personale procedeva in quello che è un posto fantastico si, in una casa con giardino e cane, una vita con i suoi piccoli problemi quotidiani ma che in fin dei conti una vita non male era. Ma purtroppo quella che definisco la sindrome di Bilbo Baggins colpì anche me: la comodità di casa andava ormai stretta, la routine lavorativa aveva preso il sopravvento e il mio fisico rispecchiava ormai il mio decadente stato emotivo. Posso essere arrivato a questo punto a soli 26 anni? Ma davvero la vita è questo e basta? Sai che ti dico? Quasi quasi lascio tutto, mando tutto all'aria e metto tutto in discussione e vediamo che succede...I'm going on an adventure! Dopo un Natale 2016 di particolare stress informo l'azienda della mia decisione di lasciare dopo i due anni e mezzo lì (non fatevi strane idee, non ho mollato un lavoro a tempo indeterminato, semplicemente chiesto che non mi venisse rinnovato per altri sei mesi o un anno), attendo il susseguirsi degli ultimi mesi e finalmente a Giugno, dopo la fine ufficiale del mio rapporto lavorativo, parto due settimane per visitare l'Europa. E sai che ti dico? Viaggiare mi piace assai, ma un viaggiare spensierato, quasi senza limiti e meta, che non ti obbliga a pensare che dopo saresti dovuto tornare a fare la stessa cosa nello stesso posto per un tempo indefinito, un viaggio di scoperta e crescita che riscalda il cuore e ti stampa un sorriso permanente sul viso. Decido comunque di trascorrere il resto dell'estate a Marina di Ragusa, con famiglia ed amici e Laila (cane e coinquilina) perchè sapevo già che quella strada mi avrebbe portato lontano da casa per un po'. A Settembre finalmente riparto, destinazione Barcellona e poi Pirenei, Saint-Jean-Pie-de-Port: si, vado a fare il Cammino di Santiago! Quella che posso definire l'esperienza più intensa e significante della mia vita, che veramente mi ha aperto gli occhi su molte cose ma non perché ti da le risposte, ma semplicemente perché ti rende consapevole della tua forza. E poi il confrontarsi cambia tantissimo: con persone di tutto il mondo, di tutte le età e diverse culture che sono lì per i più svariati motivi ma che hanno un unico comune denominatore: ri-scoperta di sè stessi. Che sia per una pausa momentanea da una vita che piace o meno, o totale distacco da un passato che ormai più bene non va, ci si mette in gioco e si intraprende un viaggio, o meglio un Cammino, che permette di riavvicinarsi prima di tutto al proprio Io, che riesce a dare consapevolezza totale di sè. La sensazione che si prova camminando nelle foreste sulle colline in prossimità di Muxia per poi vedere improvvisamente davanti a te l'Oceano, dopo un mese e quasi 900km a piedi, ti da una gioia così forte che è difficile da contenere, e dopo una doccia rigenerante nell'ennesimo ostello vai sul Monte Corpiño con una Cerveza e Lucky Strike a vedere il tramonto e lì è impossibile trattenere le lacrime e non realizzare quanto tu sia stato bravo, forte e coraggioso ad arrivare fin lì con le tue sole forze. Ed è in quel momento che capisci che tutto in fin dei conti è possibile, se ci metti cuore ed energie, perché in fondo “la vita è quello che vuoi fare” (cit. la mia cara amica Monica Montenegro) Completo i miei quasi 45 giorni di viaggio visitando il Portogallo, posto stupendo e perfetto per il meritato riposo post Cammino, ed infine rientro in Sicilia per l'ultimo mese prima del grande passo: la Nuova Zelanda. Da grande appassionato di Signore degli Anelli, natura e trekking non può che essere lei la terra promessa, fin dai tempi dell'Università è sempre stata il mio pallino, allora feci pure il passaporto per tenermi pronto, ma tra rimandi vari, lacune nell'inglese e manca di sufficiente slancio, ho sempre rinviato e rinviato, ma finalmente il momento è giunto! Un biglietto di sola andata sembra cosa semplice a volte, a volte difficilissima. Lasciare la propria casa, con le proprie comodità ed appoggi, famiglia, amici, animali domestici, cibo, luoghi, persone e tutto il resto sembra a volte una scelta coraggiosissima ed altre un vigliacco fuggire da problemi e difficoltà. Ritrovarsi in un posto totalmente nuovo, completamente ed esattamente dall'altra parte del mondo e parlare una lingua che non è la tua spaventa, ma ti rende così vivo e libero. Non mi sento assolutamente nè un eroe nè un vigliacco, ma semplicemente uno che ha avuto il coraggio di osare, di mettere tutto in discussione, di viaggiare, di ascoltare il proprio cuore. Sto per concludere i miei quattro mesi nella bellissima Queenstown, dove ho lavorato per tre come seafood department assistant (comunemente pescivendolo). Un lavoro che nella sua semplicità mi ha dato tante soddisfazione e gratificazioni da parte di managers, colleghi e clienti, e grazie ad esso ho comprato una macchina, pagato l'affitto, cibo, varie ed eventuali nel tempo libero e messo qualche soldo da parte. Avrei potuto accettare una sponsorship che mi è stata proposta per poter stare qui a lungo termine, ma ho lasciato precedentemente tutto alle spalle per poter viaggiare e vivere sempre cose nuove, fermarmi ora sarebbe totalmente senza senso! Quindi ora mi preparo a mettere tutto in macchina e partire qualche settimana per visitare Southland e Fiordland e fare diversi percorsi trekking, anche di più giorni, per vivere al meglio quello che di più prezioso la Nuova Zelanda ha da offrire: la natura. Il mio posto? Probabilmente sarà questo per i prossimi mesi del mio visto, tra viaggi e lavoretti, dopo chissà, probabilmente un'altra parte di questo enorme e meraviglioso mondo, e perché no anche una scappatella in Sicilia appena possibile. Progetti per il futuro? Si, tanti, seppur vaghi. Al momento ho deciso di vivere e godermi la vita, quella vera, che mi rende semplicemente e genuinamente felice.
Vincenzo Dipasquale Spesso mi chiedo quale sia il mio posto. A 30 anni e un bel po’ di città Italiane cambiate e un periodo all’estero non ho ancora trovato una risposta. Alcuni miei amici mi hanno definito la “psicologa con lo zaino in spalla” e devo dire che è questa definizione la sento come una seconda pelle e mi rispecchia. Rispecchia la mia voglia di viaggiare, scoprire nuovi posti e nuove persone, mettermi in discussione, la mia preferenza per gli zaini ai trolley o alle borse da “adulta e professionista”. Però in quest’espressione c’è anche tutta l’incertezza del mio presente e del mio futuro. Dopo 10 anni da fuori sede ho deciso consapevolmente di tornare nella mia “terra di sud”, non è stata una scelta, ma una necessità personale. I motivi che mi hanno spinto a tornare sono stati tanti e diversi tra loro. In primis la difficoltà di trovare lavoro nel mio settore al Nord e mi ero un po’ stancata di dover dipendere dai miei, poi c’era anche la voglia di provare a fare qualcosa nella mia terra e anche un richiamo forte verso le mie radici. A distanza di un anno e mezzo dal mio ritorno, nonostante le difficoltà, non mi sono mai pentita della scelta fatta, certo tornare dopo 10 anni a vivere a casa non è facile e sapere di non avere altra scelta, perché nonostante i 1000 lavori e lavoretti non posso permettermi di andare a vivere da sola a volte è frustrante. Però nonostante questo penso che nella mia terra nell’ambito della diffusione del benessere psicologico ci sia tanto terreno fertile per poter seminare, con un po’ di inventiva e capacità di mettersi sempre in gioco. Non so se questo sarà il mio posto definitivo, per ora sono qui e con tutte le energie e l’entusiasmo faccio quel che posso per trovare la mia strada e il mio posto. Non so se sia più difficile andare o restare o tornare me lo chiedo spesso e a oggi non ho ancora trovato una risposta… tutte e tre le scelte implicano una buona dose di coraggio. Emanuela Barbarito Tempo fa mi fu chiesto da Monica di raccontare la mia storia di “migrante”, di come dal Sud Italia mi sia trasferita a Milano, delle ragioni che mi hanno indotto a prendere questa decisione. Ma tempo fa non ero davvero pronta a parlare, perlomeno non in maniera serena, ero troppo dentro la mia esistenza fatta di impegni, di responsabilità, di programmi di un’agenda così fitta di cose e mai di pensieri. E soprattutto ero troppo piena di rancore. Poi ci sono tornata al Sud e per qualche giorno ho chiuso l’agenda e ho aperto gli occhi, mettendo a fuoco. Per davvero. Sono andata via da Paestum (è così che si chiama il mio paese di origine), perché la moda era ed è una mia passione, e Milano, si sa, è la città per antonomasia dove poter trasformare questa passione in un lavoro. Le esperienze sono state tante e mi hanno condotto verso la strada dell’imprenditoria e ho scoperto che non è facile guadagnare per assicurarsi una vita dignitosa. È un problema grave questo, che investe tutti, noi giovani, certo, ma anche di chi si avvia verso una vecchiaia che aveva immaginato diversa, placida, riposante, dopo una vita di sacrifici. Perché questo è il punto: ci hanno convinto, qui in Italia, che il SACRIFICIO debba essere il solo atteggiamento possibile per ottenere il diritto alla SOPRAVVIVENZA. Sacrificare le radici e gli affetti, dai quali allontanarsi per guadagnarsi un lavoro “altrove”, con cui sacrificheremo il tempo utile da dedicare alle radici, agli affetti. Un tempo che non ci verrà restituito. Chiarisco un punto: non è sbagliata la scelta di chi va via dalla propria terra d’origine per andare a prendersi il proprio destino, ma l’impossibilità della scelta di restare, questo è certamente sbagliato. Nel nostro paese non ci è consentito il sacrosanto permesso di scegliere tra una serie di opzioni asteriscabili, perché di opzioni non ne esistono. Dobbiamo andare via e non potremo più tornare, per una QUESTIONE MERIDIONALE ancora tristemente in atto, e andremo a Nord, dove il futuro si rivelerà un cappello da cui pescheremo illusioni, che ci hanno spacciato per conquiste. Il Sud mi manca, mi manca come l’aria, e il fatto di non potere neppure immaginare una vita lì, a causa di colpe non mie, mi deprime. Tuttavia, qualcuno di molto saggio ha detto che il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo siamo noi e chissà che io non riesca a mettere in moto la macchina di un SACRIFICIO UTILE per un CAMBIAMENTO FELICE. Chiara Mandetta Leggo la lettera di Monica ‘La creativita’ tradita di noi giovani’ e sento un brivido percorrermi sulla schiena, perche’ purtroppo sono tante le storie che ho ascoltato, proprio come quelle di Monica. ‘Siamo la generazione tradita’, penso sempre e questa e’ una consapevolezza che mi ha colpita in faccia come il maestrale invernale della mia bella Polignano a Mare. Siamo la generazione di quelli che hanno dovuto raccogliere i propri averi in una valigia, insieme ai sogni infranti, alle speranze, alle frustrazioni ma anche alla voglia di ricominciare. Non importa dove. Quando a 18 anni ho lasciato casa per andare a studiare al Nord nell’illusione di garantirmi un future migliore, io ero una di quei tantissimi giovani polignanesi che avevano lasciato la propria casa e il Sud (il trend dell’epoca era infatti lasciare il nostro amato e profondo Sud per il piu’ freddo Settentrione). Poi l’Italia non ci e’ piu’ bastata e aumentava sempre di piu’ il numero degli amici che salutavo perche’ lasciavano l’Italia. Si sentivano traditi, dicevano. Alcuni di loro erano semplicemente spinti da una sete di scoperta di luoghi nuovi da raccontare. Io sono stata una di quei giovani italiani all’estero che non e’ piu’ tornata. Ed e’ qui che inizia la storia della mia coperta, una coperta chiamata Australia. ‘Voglio andare a vivere in Australia’, dicevo al mio papa’ a 9 anni. Ebbene si’, gia’ da quell’eta’, non so spiegarmi cosa fosse, ma c’era qualcosa che mi legava a quella che qui chiamiamo ‘Down Under’. Sara’ stato il fascino dell’esotico, sara’ stata la voglia di toccare uno di quei morbidissimi koala o canguri…fatto sta che quando un anno dopo la mia specialistica in psicologia ho finito il tirocinio post-lauream ho deciso di fare le valigie. Non avevo alcuna intenzione di regalare i miei soldi ad uno Stato che non mi tutela, facendo un esame costoso per un’iscrizione all’Albo che neanche sapevo mi sarebbe servita. Il piu’ delle volte gli Ordini professionali ti succhiano il sangue in tasse, con tanto di interessi. A dire il vero, la mia decisione non era dettata dalla voglia di andare definitivamente altrove e non tornare. Avrei voluto fare un esperienza di un anno (il cosiddetto anno sabbatico che noi italiani siamo costretti a prenderci a 25/26 anni mentre nel resto d’Europa viene fatto a 17 anni grazie ad un sistema scolastico completamente diverso) cosi’ come me lo consentiva il mio Working Holiday Visa e poi chissa’….ricordo ancora mia madre preoccupata che non tornassi piu’ a casa. Perche’ e’ vero che noi siamo la generazione tradita, ma i nostri genitori sono la generazione di coloro costretti a vedersi i propri figli piantare le tende in una terra straniera, dall’altra parte del mondo nel mio caso. Nonostante il carattere allora transitorio della mia decisione, il biglietto che avevo acquistato era di sola andata. Avevo un viaggio senza ritorno per Melbourne e piu’ il giorno della partenza si avvicinava, piu’ sentivo l’eccitazione mista a paura crescere dentro di me. Sono passati quasi tre anni da quando il 14 agosto del 2014 ho messo piede su quell’aereo e non sono ancora tornata. Dopo l’iniziale fase di eccitazione che accompagna la novita’, la realta’ e’ iniziata ad emergere anche qui, dura piu’ di prima. Mi sono resa subito conto che l’Australia non era quel meraviglioso posto dei Balocchi dipinto da molti. Non era la nazione dei soldi facili. I miei titoli universitari non erano riconosciuti a meno di passare per un lungo, costoso e doloroso processo di equipollenza il cui risultato non era neanche garantito. I lavori piu’ a portata di mano erano quelli nell’ambito della ristorazione in cui mi sono buttata appena arrivata. Ma la delusione per qualcosa che non mi interessava e’ tornata a riemergere. Non ero poi cosi’ interessata a restarci. Mi sono successe tante cose in questi tre anni: incontrare l’amore della mia vita qui mi ha fatta capire che volevo una famiglia. Ma le possibilita’ di crearne una in Italia sono ridotte all’osso. Cosi’, tenendomi strettissima la mia indipendenza economica che ho sempre difeso con le unghie e con i denti, abbiamo deciso di restare. Ho deciso di ricominciare a studiare da capo qui e di investire sul mio futuro, scontrandomi non solo con delle rette altissime (i costi si aggirano intorno ai 25 mila dollari all’anno – quasi 17 mila euro annuali) e con gli scogli di una lingua che non e’ mia, ma anche con un sistema universitario completamente diverso ma meritocratico e che ti premia quando dimostri di avere capacita’ critiche. Non esiste ripetizione mnemonica di contenuti da riempirci come tabulae rasae. Gli esami non sono orali e vengono sostituiti dagli ‘assignment’: e’ come scrivere una minitesi per ognuno di essi e almeno uno dei criteri su cui si viene valutati e’ la capacita’ di analizzare criticamente e di mettere in discussione la ricerca esaminata, proponendo suggerimenti per il futuro. E’ stato uno schiaffo durissimo all’inizio e avevo quasi voglia di mollare. Poi piano piano e’ iniziato il processo di adattamento e il mio cervello ha beneficiato dell’esercizio fisico e della ginnastica cui lo stavo sottoponendo…e sono arrivate le soddisfazioni. La borsa di studio mi consente di coprire una significativa parte delle spese e di sentirmi integrata in un sistema che ti insegna e ti incoraggia ad uscire dal gregge e ad essere la voce fuori dal coro. Un sistema del genere, quando attecchisce, insegna al suo popolo la strada del successo perche’ credo fermamente che la via maestra che conduce al cambiamento, sia l’abilita’ di mettere e di mettersi in discussione. L’Australia adesso sta diventando sempre piu’ inaccessibile e l’Immigrazione sta sbarrando l’accesso sempre piu’. Sono consapevole di aver scelto la strada piu’ difficile ma so anche che niente e nessuno potra’ fermarmi. L’Italia mi manca tantissimo: la mia famiglia, i miei amici, le mie radici e i miei sapori…tutti elementi che una nenache una societa’ cosi’ opulenta come quella australiana potra’ mai compensare. Eppure questo luogo mi sta dando una possibilita’ di reinventarmi, di costruirmi un futuro ed una sicurezza economiche che in Italia sono sicura non avrei e alle soglie dei 30 anni, la necessita’ di essere autonomo economicamente e’ piu’ saliente che mai. Per tornare alla mia metafora, l’Australia e’ come la coperta con cui ti scaldi ogni notte in inverno: ti tiene al caldo e ti conforta dal gelo ma puo’ anche diventare ingombrante in estate, diventando una costrizione. E quello con l’Australia e’ stato proprio un rapporto di amore-odio tra due amanti capricciosi. Quello che so per certo e’ che mia madre aveva ragione a temere un mio non ritorno. Ci sono troppe cose che mi mancano e l’Australia e’ davvero troppo lontana da tutto ma a quello ci ripensero’ dopo aver lottato per un visto permanente. Vorrei concludere con due estratti dei miei diari di viaggio: “Tralasciando il fatto che si può essere di diverse parrocchie, volevo condividere un altro pezzo del capitolo "Australia: Riflessioni parte ennesima". "Beata te che sei in Australia": sorrido sempre quando mi viene detta questa frase. Di quei sorrisi che faresti se ti dicessero "beato te per la villa enorme che hai", sapendo quanto le tue finanze ne risultino prosciugate. Una frase che nell'immaginazione di chi la pronuncia, sembra lasciare poco spazio alle ombre. Tipo reinventarti. Tipo non perderti mai d'animo anche se all'inizio non riesci ad emergere per via di un sistema troppo conservativo e per via del fatto che spesso le tue qualifiche non vengono interamente riconosciute. Per via di un Paese che ti lascia restare solo se hai un valore aggiunto che contribuisca alla crescita. Tipo placare le ansie legate alla condizione di immigrato che per sua natura intrinseca non gode degli stessi privilegi degli autoctoni. L'altra metà dell'Australia che luccica. Spessissimo penso a tutto quello che mi sono persa da quando sono qui: una ruga in più sul volto di mamma, quel brevetto tanto sognato da mio fratello, il matrimonio della mia migliore amica a cui avrei fatto da testimone, quella laurea a cui non avresti potuto rinunciare per nulla al mondo, una birra con gli amici di una vita, uno scazzo, un caffè, una corsa sul mio mare, la curva di un sorriso condiviso...troppe cose per elencarle tutte... Poi mi guardo indietro e penso a quello costruito finora, mattone dopo mattone. Come una casa che metti su, giorno dopo giorno. Da quando sono qui è la prima volta che sento stabile la sensazione di riavere 10 se investo 5. Nonostante le mille rinunce e le durissime salite percorse e da percorrere. La sensazione di sapere, che facendo i passi giusti, non dovrai più preoccuparti di trovare il tuo posto nel mondo. Una sensazione che la depressione economica ci ha strappato ingiustamente e in maniera brutale. "Hai avuto coraggio", mi è stato detto spesso. Il vero coraggio è restare immobili e bloccati nelle proprie remore. Il vero coraggio è credere di non potersi prendere il meglio da questa vita. Ovunque essa sia. Se ti fa paura fallo. Se non ti fa paura non è grande abbastanza”. “Avete presente quella sensazione che si prova mentre ascolti qualcuno che ti dice qualcosa che ti rende orgoglioso? Il petto un po' gonfio, una mezzaluna che ti attraversa il volto da un orecchio all'altro manifestando un sorriso fiero. Un po' la stessa sensazione che ho sempre provato quando, anche a distanza di anni, gli amici di papà continuavano a ricordarlo elogiandone i pregi. Ecco ho sentito questo oggi, durante l'orientamento mentre il Rettore vantava l'istituzione dove sono iscritta, ringraziandoci per averli scelti. Non avrei mai detto che sarei tornata a reiscrivermi all'università. All'estero poi. O forse si... ci sono cose che dentro di te sai prima o poi farai... Come quando a 9 anni sognavo la terra dei canguri...come quando dentro di me ho sempre saputo che avrei vissuto all'estero (almeno per un po')...come quando ho sempre saputo che se fossi voluta restare in Australia, avrei trovato un modo senza dover dire grazie a nessuno. Ho avuto ragione su tutto tranne che su quest'ultimo punto...devo dirne tanti di GRAZIE.. A Vincenzo per darmi la dimostrazione che l'amore è tenersi per mano qualunque cosa accada: essere in due, col giusto compagno, è davvero troppo bello. Grazie a mamma e papà per avermi insegnato che quando vuoi qualcosa, devi andarlo a prendere con tutte le tue forze. Non importa quanto dura sia la salita. Grazie alla mia mamma e Paolo: non deve essere facile gioire per i traguardi di una figlia e una sorella sapendo che questi sono gli stessi motivi che la tengono lontana, dall'altra parte del mondo. Solo l'amore è in grado di farci fare certe cose. Grazie agli amici: alcuni non li sento spesso come vorrei, altri sempre. Non importa. Ho sempre la sicurezza con voi che il tempo e le distanze non possono nulla. Perchè è cosi che funzionano i rapporti veri. Non è un caso che il mio visto sia arrivato il primo giorno di università. Australia grazie per altri tre anni insieme. Oggi mi sento come parlava Torto Og: " Eravamo ragazzi e ci dicevano: “Studiate, sennò non sarete nessuno nella vita”. Studiammo. Dopo aver studiato ci dissero: “Ma non lo sapete che la laurea non serve a niente? Avreste fatto meglio a imparare un mestiere!”. Lo imparammo. Dopo averlo imparato ci dissero: “Che peccato però, tutto quello studio per finire a fare un mestiere?”. Ci convinsero e lasciammo perdere. Quando lasciammo perdere, ...rimanemmo senza un centesimo. Ricominciammo a sperare, disperati. Prima eravamo troppo giovani e senza esperienza. Dopo pochissimo tempo eravamo già troppo grandi, con troppa esperienza e troppi titoli. Finalmente trovammo un lavoro, a contratto, ferie non pagate, zero malattie, zero tredicesime, zero Tf, zero sindacati, zero diritti. Lottammo per difendere quel non lavoro. Non facemmo figli - per senso di responsabilità - e crescemmo. Così ci dissero, dall’alto dei loro lavori trovati facilmente negli anni ’60, con uno straccio di diploma o la licenza media, quando si vinceva facile davvero: “Siete dei bamboccioni, non volete crescere e mettere su famiglia”. E intanto pagavamo le loro pensioni, mentre dicevamo per sempre addio alle nostre. Ci riproducemmo e ci dissero: “Ma come, senza una sicurezza nè un lavoro con un contratto sicuro fate i figli? Siete degli irresponsabili”. A quel punto non potevamo mica ucciderli. Così emigrammo. Andammo altrove, alla ricerca di un angolo sicuro nel mondo, lo trovammo, ci sentimmo bene. Ci sentimmo finalmente a casa. Ma un giorno, quando meno ce lo aspettavamo, il “Sistema Italia” fallì e tutti si ritrovarono col culo per terra. Allora ci dissero: “Ma perchè non avete fatto nulla per impedirlo?”. A quel punto non potemmo che rispondere: “Andatevene affanculo!”. Rossella Colella |
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Monica Montenegro, 28 anni e mezzo, segni particolari “inquietudine”. Sul curriculum un ultimo lavoro da stagista legale. Lei vorrebbe seguire i suoi sogni, vorrebbe anche scrivere e cercare #ilnostroposto…quello dove nessun ragazzo si sente escluso o non all’altezza delle sue aspettative. Archivi
Giugno 2017
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