Da bambina mio padre mi convinceva del fatto che scrivere storie fosse il modo migliore di raccontare se stessi. Infondo ero solo una dodicenne nata e cresciuta in un luogo privo di interessi e ai miei occhi il cemento e il grigio di quella città risultavano essere ogni giorno più opprimenti. ‘’È una questione di età’’, dicevano. ‘’Prima o poi ti abituerai’’, ripetevano. E giuro che ci ho provato. Nel frattempo il liceo, poi la prima esperienza universitaria e iI sentirsi improvvisamente grandi, le tante lodi negli studi, l’aspirazione e la voglia di non fermarsi, di non accontentarsi. L’innamorarsi di una terra così preziosa come le Marche, decidere di continuarei tuoi studi lì e realizzare che paradossalmente, proprio nel momento in cui provavi ad allontanarti da quei luoghi che tanto ti avevano deluso, ti ci affezioni sempre piu’ attraverso le persone e le difficoltà comuni e le esperienze condivise. Una laurea in Storia dell’Arte, una lode, apparivano allora come la migliore conclusione di quella prima esperienza lontano da casa. Le speranze e le grandi idee animavano ogni mio giorno. Poi il buio. Lo scontro con la realtà così subdola da lasciarti basita e inerme. Non eri pronta a questo. Non eri pronta al ritorno in Puglia, agli anni impiegati nel cercare quel lavoro che mai arriva e te, che non puoi contare sul comodo aiuto di nessuno, metti pian piano da parte i tuoi progetti e continui a chiederti se mai il tuo momento arriverà. Le porte chiuse in faccia, tante. Risposte non ricevute, troppe. E poi la depressione, l’anoressia, il non riuscire più a vivere la tua vita. L’estraneamento, i lavori sempre più sbagliati, la tua dignità venduta. Il ritorno marchigiano e il fallimento delle tue troppe qualificazioni che ti valgono lavori da poche centinaia di euro al mese e una frustazione perenne. Non saprei essere piu’ obiettiva nel raccontare di me stessa prima di questo nuovo capitolo di vita che mi ha condotto oltremanica. Credo di avere impiegato un paio di anni e tante notti insonni prima di realizzare che non ero io a sbagliare e che la paura, il terrore di sapere che oltre il tuo comodo posto c’e’ di meglio, e’ un male che affligge tanti. Ma non lui. Lui sì che ce l’ha quel coraggio. Lui che decide di lasciare il suo lavoro in Italia per reinventarsi una vita con te altrove. E allora i tuoi mali li affronti. Non che da un giorno all’altro te li scrolli di dosso, ma comunque ci provi se non per te stessa almeno per lui. Non racconterò di avere una vita perfetta, nè che è stato così semplice rimettersi in gioco. Ma oltre i tanti sacrifici, gli ostacoli e le lacrime c’è quella silenziosa sensazione di felicità che ti pervade ogni giorno quando ti svegli incrociando i suoi occhi, quando parli e sorridi con sconosciuti incontrati per strada. Quando conosci, esplori, valuti, vivi. Ecco, io vivo mentre leggo di chi ha deciso, diversamente da me, di restare in Italia. Ascolto storie fatte di soddisfazioni, di traguardi, di quei pochi che ce l’hanno fatta ma anche di quei tanti che preferiscono lasciarsi plagiare e assopire da una realtà senza stimoli. Amo il romanticismo di chi coscienzosamente combatte giorno dopo giorno per quel diritto ad avere un futuro nella propria terra. Ammiro chi ci crede e si impegna concretamente in ciò. Ma non te che mi elenchi quotidianamente le disfatte dell’umanità, le condizioni in cui versa il tuo Paese, la tua disoccupazione, i ricatti lavorativi, la rabbia nei confronti di politicanti di turno, la sparatoria nel tuo quartiere mentre posti foto di falsi sorrisi serali perchè bisogna apparire felici. E allora la rabbia assopita mi risale di getto. Lavorare e vivere in un sistema che ti calpesta e svilisce è la più grande sconfitta. Lavorare per 4 euro l’ora, 12 ore al giorno senza un regolare contratto è ledere la tua dignità. Necessitare di soldi per permettersi un lavoro, questo è oltrepassare il limite. In questi anni ho avuto modo di incontrare e parlare con tanti italiani che hanno deciso di intraprendere e condividere la mia stessa esperienza. E vi dirò che quì quei sorrisi sono veri. Ho condiviso storie con proprietari di locali che hanno ormai dimenticato la loro lingua, ho discorso con genitori che hanno creato una propria famiglia e con I figli che hanno la possibilità, a noi negata, di scegliere ed essere liberi di scegliere. Perchè qui il sudore conta e il lavoro gratifica. Pubblicizzato ovunque, il minimum wage britannico prevede una sorta di implicito do ut des. Allo scocco del nuovo anno fiscale il minimo salariale incrementa di una media di 30 centesimi l’ora in una sorta di sadico meccanismo che prevede un scambio di diritti e doveri cittadino-Stato. E allora ti senti piacevolmente obbligato a contribuire perchè sai che il giardino pubblico di fronte casa sarà potato alla perfezione, perchè sai che quei rallentamenti stradali ti risparmieranno bestemmie e meccanici, perchè sai che il tuo straordinario servirà a viaggiare, contribuirà ad accrescere la tua voglia di conoscenza. Ecco mio caro Briatore di turno che quella necessità di partire si trasforma in volontà di restare. E l’unico motivo per cui non trovi il tuo personale qualificato in Puglia è perchè quelle qualifiche preferiamo sfruttarle altrove, dove il merito non è una pergamena ma un lavoro, uno stipendio e un viaggio. Chiediti il perchè preferiamo lavorare come camerieri in affollati locali londinesi piuttosto che nel tuo Olimpo. Chiediti il perchè della vergogna nel motivare la mia partenza e spiegare ad un altro il futuro negato, la mia libertà violata in patria. Chiediti della mia frustrazione nel leggere quella brochure referendaria che comincia con un ‘’Cara italiana, caro italiano’’. No, io non mi sento italiana se questo significa sacrificare sè stessi per ideali fasulli. Io mi sento libera di appartenere al mondo che ho scelto . E sì, io mi sento italiana ogni volta che ripenso al profumo di agrumi e salsedine del mio Gargano, alle distese di ulivi e alla terra bruciata nella calura estiva, tutte le volte che ho l’occasione di gustare sapori così decisi e amari come la terra da cui nascono. Sono orgogliosa di esserlo all’estero grazie agli sguardi degli inglesi che amano, viaggiano e apprezzano, dell’enfasi con cui esaltano il nostro genio, la nostra cultura, con l’amore con cui custodiscono la nostra arte. E allora restate in Italia ma solo se volete concretamente lottare per voi e per Lei. Oppure osate, fuggite, lasciatevi quelle migliaia di kilometri alle spalle ma riprendete in mano la vostra felicità, ricomponete e reiventate la vostra vita come meglio potete. Scegliete egoisticamente di vivere. Mary McPhill
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Monica Montenegro, 28 anni e mezzo, segni particolari “inquietudine”. Sul curriculum un ultimo lavoro da stagista legale. Lei vorrebbe seguire i suoi sogni, vorrebbe anche scrivere e cercare #ilnostroposto…quello dove nessun ragazzo si sente escluso o non all’altezza delle sue aspettative. Archivi
Giugno 2017
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