Leggo la lettera di Monica ‘La creativita’ tradita di noi giovani’ e sento un brivido percorrermi sulla schiena, perche’ purtroppo sono tante le storie che ho ascoltato, proprio come quelle di Monica. ‘Siamo la generazione tradita’, penso sempre e questa e’ una consapevolezza che mi ha colpita in faccia come il maestrale invernale della mia bella Polignano a Mare. Siamo la generazione di quelli che hanno dovuto raccogliere i propri averi in una valigia, insieme ai sogni infranti, alle speranze, alle frustrazioni ma anche alla voglia di ricominciare. Non importa dove. Quando a 18 anni ho lasciato casa per andare a studiare al Nord nell’illusione di garantirmi un future migliore, io ero una di quei tantissimi giovani polignanesi che avevano lasciato la propria casa e il Sud (il trend dell’epoca era infatti lasciare il nostro amato e profondo Sud per il piu’ freddo Settentrione). Poi l’Italia non ci e’ piu’ bastata e aumentava sempre di piu’ il numero degli amici che salutavo perche’ lasciavano l’Italia. Si sentivano traditi, dicevano. Alcuni di loro erano semplicemente spinti da una sete di scoperta di luoghi nuovi da raccontare. Io sono stata una di quei giovani italiani all’estero che non e’ piu’ tornata. Ed e’ qui che inizia la storia della mia coperta, una coperta chiamata Australia. ‘Voglio andare a vivere in Australia’, dicevo al mio papa’ a 9 anni. Ebbene si’, gia’ da quell’eta’, non so spiegarmi cosa fosse, ma c’era qualcosa che mi legava a quella che qui chiamiamo ‘Down Under’. Sara’ stato il fascino dell’esotico, sara’ stata la voglia di toccare uno di quei morbidissimi koala o canguri…fatto sta che quando un anno dopo la mia specialistica in psicologia ho finito il tirocinio post-lauream ho deciso di fare le valigie. Non avevo alcuna intenzione di regalare i miei soldi ad uno Stato che non mi tutela, facendo un esame costoso per un’iscrizione all’Albo che neanche sapevo mi sarebbe servita. Il piu’ delle volte gli Ordini professionali ti succhiano il sangue in tasse, con tanto di interessi. A dire il vero, la mia decisione non era dettata dalla voglia di andare definitivamente altrove e non tornare. Avrei voluto fare un esperienza di un anno (il cosiddetto anno sabbatico che noi italiani siamo costretti a prenderci a 25/26 anni mentre nel resto d’Europa viene fatto a 17 anni grazie ad un sistema scolastico completamente diverso) cosi’ come me lo consentiva il mio Working Holiday Visa e poi chissa’….ricordo ancora mia madre preoccupata che non tornassi piu’ a casa. Perche’ e’ vero che noi siamo la generazione tradita, ma i nostri genitori sono la generazione di coloro costretti a vedersi i propri figli piantare le tende in una terra straniera, dall’altra parte del mondo nel mio caso. Nonostante il carattere allora transitorio della mia decisione, il biglietto che avevo acquistato era di sola andata. Avevo un viaggio senza ritorno per Melbourne e piu’ il giorno della partenza si avvicinava, piu’ sentivo l’eccitazione mista a paura crescere dentro di me. Sono passati quasi tre anni da quando il 14 agosto del 2014 ho messo piede su quell’aereo e non sono ancora tornata. Dopo l’iniziale fase di eccitazione che accompagna la novita’, la realta’ e’ iniziata ad emergere anche qui, dura piu’ di prima. Mi sono resa subito conto che l’Australia non era quel meraviglioso posto dei Balocchi dipinto da molti. Non era la nazione dei soldi facili. I miei titoli universitari non erano riconosciuti a meno di passare per un lungo, costoso e doloroso processo di equipollenza il cui risultato non era neanche garantito. I lavori piu’ a portata di mano erano quelli nell’ambito della ristorazione in cui mi sono buttata appena arrivata. Ma la delusione per qualcosa che non mi interessava e’ tornata a riemergere. Non ero poi cosi’ interessata a restarci. Mi sono successe tante cose in questi tre anni: incontrare l’amore della mia vita qui mi ha fatta capire che volevo una famiglia. Ma le possibilita’ di crearne una in Italia sono ridotte all’osso. Cosi’, tenendomi strettissima la mia indipendenza economica che ho sempre difeso con le unghie e con i denti, abbiamo deciso di restare. Ho deciso di ricominciare a studiare da capo qui e di investire sul mio futuro, scontrandomi non solo con delle rette altissime (i costi si aggirano intorno ai 25 mila dollari all’anno – quasi 17 mila euro annuali) e con gli scogli di una lingua che non e’ mia, ma anche con un sistema universitario completamente diverso ma meritocratico e che ti premia quando dimostri di avere capacita’ critiche. Non esiste ripetizione mnemonica di contenuti da riempirci come tabulae rasae. Gli esami non sono orali e vengono sostituiti dagli ‘assignment’: e’ come scrivere una minitesi per ognuno di essi e almeno uno dei criteri su cui si viene valutati e’ la capacita’ di analizzare criticamente e di mettere in discussione la ricerca esaminata, proponendo suggerimenti per il futuro. E’ stato uno schiaffo durissimo all’inizio e avevo quasi voglia di mollare. Poi piano piano e’ iniziato il processo di adattamento e il mio cervello ha beneficiato dell’esercizio fisico e della ginnastica cui lo stavo sottoponendo…e sono arrivate le soddisfazioni. La borsa di studio mi consente di coprire una significativa parte delle spese e di sentirmi integrata in un sistema che ti insegna e ti incoraggia ad uscire dal gregge e ad essere la voce fuori dal coro. Un sistema del genere, quando attecchisce, insegna al suo popolo la strada del successo perche’ credo fermamente che la via maestra che conduce al cambiamento, sia l’abilita’ di mettere e di mettersi in discussione. L’Australia adesso sta diventando sempre piu’ inaccessibile e l’Immigrazione sta sbarrando l’accesso sempre piu’. Sono consapevole di aver scelto la strada piu’ difficile ma so anche che niente e nessuno potra’ fermarmi. L’Italia mi manca tantissimo: la mia famiglia, i miei amici, le mie radici e i miei sapori…tutti elementi che una nenache una societa’ cosi’ opulenta come quella australiana potra’ mai compensare. Eppure questo luogo mi sta dando una possibilita’ di reinventarmi, di costruirmi un futuro ed una sicurezza economiche che in Italia sono sicura non avrei e alle soglie dei 30 anni, la necessita’ di essere autonomo economicamente e’ piu’ saliente che mai. Per tornare alla mia metafora, l’Australia e’ come la coperta con cui ti scaldi ogni notte in inverno: ti tiene al caldo e ti conforta dal gelo ma puo’ anche diventare ingombrante in estate, diventando una costrizione. E quello con l’Australia e’ stato proprio un rapporto di amore-odio tra due amanti capricciosi. Quello che so per certo e’ che mia madre aveva ragione a temere un mio non ritorno. Ci sono troppe cose che mi mancano e l’Australia e’ davvero troppo lontana da tutto ma a quello ci ripensero’ dopo aver lottato per un visto permanente. Vorrei concludere con due estratti dei miei diari di viaggio: “Tralasciando il fatto che si può essere di diverse parrocchie, volevo condividere un altro pezzo del capitolo "Australia: Riflessioni parte ennesima". "Beata te che sei in Australia": sorrido sempre quando mi viene detta questa frase. Di quei sorrisi che faresti se ti dicessero "beato te per la villa enorme che hai", sapendo quanto le tue finanze ne risultino prosciugate. Una frase che nell'immaginazione di chi la pronuncia, sembra lasciare poco spazio alle ombre. Tipo reinventarti. Tipo non perderti mai d'animo anche se all'inizio non riesci ad emergere per via di un sistema troppo conservativo e per via del fatto che spesso le tue qualifiche non vengono interamente riconosciute. Per via di un Paese che ti lascia restare solo se hai un valore aggiunto che contribuisca alla crescita. Tipo placare le ansie legate alla condizione di immigrato che per sua natura intrinseca non gode degli stessi privilegi degli autoctoni. L'altra metà dell'Australia che luccica. Spessissimo penso a tutto quello che mi sono persa da quando sono qui: una ruga in più sul volto di mamma, quel brevetto tanto sognato da mio fratello, il matrimonio della mia migliore amica a cui avrei fatto da testimone, quella laurea a cui non avresti potuto rinunciare per nulla al mondo, una birra con gli amici di una vita, uno scazzo, un caffè, una corsa sul mio mare, la curva di un sorriso condiviso...troppe cose per elencarle tutte... Poi mi guardo indietro e penso a quello costruito finora, mattone dopo mattone. Come una casa che metti su, giorno dopo giorno. Da quando sono qui è la prima volta che sento stabile la sensazione di riavere 10 se investo 5. Nonostante le mille rinunce e le durissime salite percorse e da percorrere. La sensazione di sapere, che facendo i passi giusti, non dovrai più preoccuparti di trovare il tuo posto nel mondo. Una sensazione che la depressione economica ci ha strappato ingiustamente e in maniera brutale. "Hai avuto coraggio", mi è stato detto spesso. Il vero coraggio è restare immobili e bloccati nelle proprie remore. Il vero coraggio è credere di non potersi prendere il meglio da questa vita. Ovunque essa sia. Se ti fa paura fallo. Se non ti fa paura non è grande abbastanza”. “Avete presente quella sensazione che si prova mentre ascolti qualcuno che ti dice qualcosa che ti rende orgoglioso? Il petto un po' gonfio, una mezzaluna che ti attraversa il volto da un orecchio all'altro manifestando un sorriso fiero. Un po' la stessa sensazione che ho sempre provato quando, anche a distanza di anni, gli amici di papà continuavano a ricordarlo elogiandone i pregi. Ecco ho sentito questo oggi, durante l'orientamento mentre il Rettore vantava l'istituzione dove sono iscritta, ringraziandoci per averli scelti. Non avrei mai detto che sarei tornata a reiscrivermi all'università. All'estero poi. O forse si... ci sono cose che dentro di te sai prima o poi farai... Come quando a 9 anni sognavo la terra dei canguri...come quando dentro di me ho sempre saputo che avrei vissuto all'estero (almeno per un po')...come quando ho sempre saputo che se fossi voluta restare in Australia, avrei trovato un modo senza dover dire grazie a nessuno. Ho avuto ragione su tutto tranne che su quest'ultimo punto...devo dirne tanti di GRAZIE.. A Vincenzo per darmi la dimostrazione che l'amore è tenersi per mano qualunque cosa accada: essere in due, col giusto compagno, è davvero troppo bello. Grazie a mamma e papà per avermi insegnato che quando vuoi qualcosa, devi andarlo a prendere con tutte le tue forze. Non importa quanto dura sia la salita. Grazie alla mia mamma e Paolo: non deve essere facile gioire per i traguardi di una figlia e una sorella sapendo che questi sono gli stessi motivi che la tengono lontana, dall'altra parte del mondo. Solo l'amore è in grado di farci fare certe cose. Grazie agli amici: alcuni non li sento spesso come vorrei, altri sempre. Non importa. Ho sempre la sicurezza con voi che il tempo e le distanze non possono nulla. Perchè è cosi che funzionano i rapporti veri. Non è un caso che il mio visto sia arrivato il primo giorno di università. Australia grazie per altri tre anni insieme. Oggi mi sento come parlava Torto Og: " Eravamo ragazzi e ci dicevano: “Studiate, sennò non sarete nessuno nella vita”. Studiammo. Dopo aver studiato ci dissero: “Ma non lo sapete che la laurea non serve a niente? Avreste fatto meglio a imparare un mestiere!”. Lo imparammo. Dopo averlo imparato ci dissero: “Che peccato però, tutto quello studio per finire a fare un mestiere?”. Ci convinsero e lasciammo perdere. Quando lasciammo perdere, ...rimanemmo senza un centesimo. Ricominciammo a sperare, disperati. Prima eravamo troppo giovani e senza esperienza. Dopo pochissimo tempo eravamo già troppo grandi, con troppa esperienza e troppi titoli. Finalmente trovammo un lavoro, a contratto, ferie non pagate, zero malattie, zero tredicesime, zero Tf, zero sindacati, zero diritti. Lottammo per difendere quel non lavoro. Non facemmo figli - per senso di responsabilità - e crescemmo. Così ci dissero, dall’alto dei loro lavori trovati facilmente negli anni ’60, con uno straccio di diploma o la licenza media, quando si vinceva facile davvero: “Siete dei bamboccioni, non volete crescere e mettere su famiglia”. E intanto pagavamo le loro pensioni, mentre dicevamo per sempre addio alle nostre. Ci riproducemmo e ci dissero: “Ma come, senza una sicurezza nè un lavoro con un contratto sicuro fate i figli? Siete degli irresponsabili”. A quel punto non potevamo mica ucciderli. Così emigrammo. Andammo altrove, alla ricerca di un angolo sicuro nel mondo, lo trovammo, ci sentimmo bene. Ci sentimmo finalmente a casa. Ma un giorno, quando meno ce lo aspettavamo, il “Sistema Italia” fallì e tutti si ritrovarono col culo per terra. Allora ci dissero: “Ma perchè non avete fatto nulla per impedirlo?”. A quel punto non potemmo che rispondere: “Andatevene affanculo!”. Rossella Colella
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Monica Montenegro, 28 anni e mezzo, segni particolari “inquietudine”. Sul curriculum un ultimo lavoro da stagista legale. Lei vorrebbe seguire i suoi sogni, vorrebbe anche scrivere e cercare #ilnostroposto…quello dove nessun ragazzo si sente escluso o non all’altezza delle sue aspettative. Archivi
Giugno 2017
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