La domanda più difficile a cui abbia mai dovuto rispondere me l’ha posta Sophia, una bimba di otto anni, quando mi chiesto: «Ma tu da grande che lavoro vuoi fare?». Io, che di anni ne ho trentatré e di lavori ne ho svolti tanti, le ho risposto: «Quello che mi permetteranno di fare», distruggendo in un attimo i sogni di due generazioni, la mia e la sua. Spero che Sophia, col tempo, dimentichi le mie parole e non perda mai la volontà di autodeterminarsi come individuo e soprattutto come donna, volontà che un tempo io avevo, ma che strada facendo ha lasciato il posto ad una mera volontà di sopravvivenza. Fin da piccola mi dicevano che possedevo una grande fantasia, e da sempre ho creduto che quella fantasia mi avrebbe portata lontano lontano, anche quando, nel periodo in cui tutti i ragazzi sognano, sperano e amano, i miei genitori hanno chiesto il mio aiuto. Ma questo non mi ha fermata e con gli studi intrapresi ho cercato un’opportunità di riscatto e di affermazione. Ho affrontato gli studi triennali in Comunicazione e la specializzazione biennale in Giornalismo e Multimedialità con picchi di entusiasmo e abissi di delusione prevedendo quello che purtroppo temevo, che la cultura e la creatività non pagano. Ma continuavo. Concluso il mio percorso avrei voluto mettere a frutto la mia creatività, il mio senso del dovere, la mia passione per la letteratura, lavorando nel mondo dell’editoria e della comunicazione. Ma ho incontrato solo lavori gratuiti, non riconosciuti, ripagati con l’ambiguo soldo della “visibilità”, con cui, però, non sono riuscita a mangiare, a fare benzina o addirittura - quale abominio - comprare casa. E mentre ancora tento di capire gli strani meccanismi che portano il figlio dell’amico, del cugino del cognato, a ricoprire ruoli per cui non hanno la minima competenza, mi chiedo, ogni santa mattina, che cosa io stia sbagliando, e perché la mia antica terra accantoni le sue risorse migliori, i suoi figli. La mia sfida più grande la affronto ogni giorno restando nella mia regione, la Puglia. Credo di aver dovuto rinunciare ad una parte di me, che forse non coltiverò mai, ma un’altra me, testarda, fa capolino nei giorni più bui, quando mi si nega un contratto di lavoro, quando mi si dice siamo tutti volontari, quando il mio curriculum viene cestinato senza essere letto, quando chiedo aiuto e in cambio ricevo solo parole di conforto e speranze poi disattese. Ho accettato di amare questa terra in tutte le sue forme, con i suoi malesseri e le sue contraddizioni, dove il futuro si costruisce giorno dopo giorno, e lo costruiscono i ragazzi che decidono di rimanere o di ritornare, con grandi competenze e voglia di fare. Sperando che questo diventi #ilnostroposto Serena Tarantini
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Monica Montenegro, 28 anni e mezzo, segni particolari “inquietudine”. Sul curriculum un ultimo lavoro da stagista legale. Lei vorrebbe seguire i suoi sogni, vorrebbe anche scrivere e cercare #ilnostroposto…quello dove nessun ragazzo si sente escluso o non all’altezza delle sue aspettative. Archivi
Giugno 2017
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